Ursus arctos marsicanus. Il nome subspecifico “marsicanus”, lascerebbe legittimamente pensare che la Marsica sia il territorio originario ed esclusivo del “nostro” orso. Al contrario, a seguito della pesante pressione antropica, ne è divenuto il territorio “rifugio”, perché in realtà quello primitivo era ben più vasto, toccando a settentrione i Monti Sibillini e scendendo a  mezzogiorno fino alla Calabria. Si può correttamente parlare, quindi, di un orso bruno dell’Appennino, anche in considerazione del fatto che i  dati genetici e molecolari, oggi disponibili, parlano in favore di una sua origine orientale, balcanica, piuttosto che di una sua derivazione alpina.

A parte i toponimi (che costituiscono sempre un’inequivocabile testimonianza dell’antica presenza dell’animale) ampiamento diffusi nel comprensorio sibillino (Grotta dell’Orso, Fonte dell’Orso, Valle Orsara, …e numerosi altri), si riportano qui i dati storici più salienti.

Il 16 luglio del 1514 il consiglio di Castelsantangelo sul Nera, in onore di Giovanni Maria Varano, delibera una caccia all’orso.

In una relazione del 1587, Innocenzo Malvasia, commissario apostolico in visita alla prefettura della Montagna di Norcia, riferisce che i nobili norcini cacciavano gli orsi e appendevano le teste nei saloni dei palazzi come trofei di caccia.

Per i danni che a volte provocava al bestiame domestico, gli statuti comunali di Bolognola nel 1654 prevedevano un compenso di tre scudi a chi avesse ucciso un orso.

L’orso diviene, nel XV secolo, anche oggetto di curiose regalie: il Governatore di Todi, che si era molto speso per la Città di Spoleto, ad essa regalò un orso: il dono fu tanto gradito che il Ducato decise di mantenere l’orso a proprie spese.

Il 29 giugno del 1750 furono uccisi due orsi da Diodato Antonelli nella foresta di Monte Costa Comune ad Opagna, nel Casciano.

Le continue trasformazioni ambientali, i disboscamenti, le armi da fuoco, contribuirono in maniera determinante alla rarefazione del plantigrado, il cui ultimo esemplare, secondo Anna Maria Aringoli Herbst (autrice, nel 1954, di una Guida di Camerino), sarebbe stato ucciso nel 1870, nella frazione di Statte.

Ed infine, nel 1925, il Ricci afferma “L’orso che nella prima metà del secolo scorso era ancora sui Sibillini è ora affatto scomparso ricacciato verso sud, cioè negli acrocori dell’Abruzzo”. [1]

Dal XV secolo si ritrovano i primi scritti che menzionano gli orsi nella regione abruzzese. Nel XVIII secolo le testimonianze sono numerose e geograficamente caratterizzate. La presenza dell’animale viene segnalata a Sulmona, sulle montagne del Salviano (Avezzano), nel circondario di Scanno, nel versante Teramano del Gran Sasso, nei boschi del Matese , sulla Majella nei pressi di Roccamorice e in valle Roveto al confine con lo Stato Pontificio. Poi, tra la fine del Settecento e gli inizi dell’OttocentImpronte nella neve - ph. F.Ferrerio, il Giustiniani pubblica il suo lavoro sul Regno di Napoli nel quale sono riportate diverse informazioni sulla presenza dell’orso nelle montagne abruzzesi. Dalla lettura si apprende che il plantigrado viene segnalato nei centri di Accumoli , Bisegna, Cagnano, Capistrello, Cappadocia, Colli di Macine (CH), Collelongo, Forcella, Gioia dei Marsi, Leonessa (RI), Monte Sabinese, Masellara (CH), Ortucchio, Pennapiedimonte, Pereto, Pescasseroli, Pettorano, Pizzoli, Tagliacozzo, Trasacco e Villavallelonga.

In pratica, l’orso è rilevato all’interno di una sorta di mezzaluna le cui punte sono Accumoli, all’estremo limite settentrionale del Regno, e l’area orientale della Majella tra Pennapiedimonte e Palombaro, ma con due aree di particolare concentrazione: le montagne che sovrastano l’Alta valle del Liri da Tagliacozzo a Capistrello e le montagne che cingono le sponde meridionali del Fucino. Ulteriori segnalazioni tratte da atti ufficiali dei comuni interessati giungono dal bosco del Morrone tra Popoli e Sulmona, da Salle, Gamberale, Caramanico, Carsoli, Civita d’Antino e da tutti i paesi compresi oggigiorno nel perimetro del PNALM.

E cosi si giunge al XX secolo ed è del 1921 il primo studio di carattere pseudo scientifico sull’orso di queste terre nel quale si evidenzierà la distinzione tra Ursus arctos e Ursus arctos marsicanus. L’autore, Giuseppe Altobello, in tale anno pubblica a Campobasso il suo fondamentale lavoro sulla fauna dell’Abruzzo e del Molise dedicando il quarto volume ai carnivori, categoria nella quale inserisce il nostro orso. Nello stesso anno l’associazione “Pro Montibus et Sylvis” affitta 500 ettari nella Val Fondillo, primo nucleo di un territorio dove l’orso non poteva più venir cacciato se non dietro una speciale autorizzazione dell’associazione per eventuali gravi danni arrecati al bestiame o alle coltivazioni limitrofe e mai in nessun caso potevano però essere uccisi i piccoli dell’orso. Poi nel 1922 l’inaugurazione ufficiale del Parco Nazionale d’Abruzzo e nell’anno seguente, 1923, il Regio Decreto che ne sanciva l’istituzione.

Per il territorio laziale (Monti Ernici, in particolare), a parte i consueti toponimi (Valle dell’Orso, Vado dell’Orso, Grotta dell’Orso…), si ricorda che, nel 1716,  Padre Francesco Maria Casaleta, un certosino del monastero di S. Bartolomeo di Trisulti (nel territorio dell’odierna Collepardo-FR) così scrive all’abate Pietro Antonio Corsignani per la sua  “Reggia Marsicana”: “ Unicuique nostram satis cognitum, perspectumque est, inter Hernicos Montes in Marsorum tuae Provinciae, confinibus, (et) foranibus detrae, (et) in caverna maceriae, dictam Sacram Domum Trisultanam, a munduna conservatione sejunctam, haud imperito jacere, quasi Cedrum, exaltatam in Libano, quasi Cypressum in Monte Sion; ni a Lupi et Ursis, aliisque, feris habitatam, (et) ex omnibus partibus per circuitum nemorosis, asperisque vallatam montibus, ac speloncis imaginem horroris, (et) vastae solitudinis proesefert …” [2]

Anche il monaco cistercense Don Atanasio Taglienti ricorda di aver trovato, nell’archivio della Certosa di Trisulti, tre fogli manoscritti su pergamena ove si legge:”Non v’ha memoria alcuna che possa attestare quando questa picciola terra (Collepardo-FR, n.d.r.) abbia avuto la sua origine. …omissis… col volger degli anni più case siano state d’intorno alle prime fabbricate per ritenerne a stabile dimora degli abitanti …omissis… per guarentirsi dalle disgrazie fra quelle balze selvagge ed abbondanti in allora di orsi, lupi, cinghiali e gattipardi”.[3]

Sempre la toponomastica ci mostra ancor’oggi, che nei tempi antichi l’orso popolava i boschi di Calabria.Numerosi toponimi, che ne richiamano l‘esistenza, costellano il territorio calabrese, specie la sua parte più montuosa, impenetrabile e forestale. Essi sono l’indice più sicuro per dimostrare come l’ambito, in cui quest’animale era presente, sia stato anticamente molto vasto, ma che in età storica si è andato restringendo ad aree forestali ristrette, difficilmente penetrabili dall’uomo. Limitando la nostra ricerca toponomastica all’orso, troviamo: “Timpa dell’Orso” sul Pollino, “Orsara” vicino al bosco di Tafuri presso Parenti, “Serra d’Orso” vicino Cozzo Cacanella (Conflenti), “Ursara” presso Rossano; “Ursiello” in territorio di Sersale,
 “Macchia dell’Orso” in territorio di Mesoraca. [4]

 


[1]  Le notizie relative ai Sibillini sono tratte da:

-Dell’Orso M, Forconi P., 2007  – “La presenza storica dell’orso sui Monti Sibillini” – VOCI DEL PARCO, periodico d’informazione del P.N. dei Monti Sibillini, n°1.

[2] Le notizie relative all’Abruzzo, e ad una parte del territorio laziale, sono tratte da:

-Tarquinio G., 2001. –  “Testimonianze storiche della presenza dell’orso bruno Marsicano in Abruzzo e nelle aree limitrofe”, pp.80 – GRAFITALIA Edizioni, Sora

[3] Taglienti A., 1984 – “Il Monastero di Trisulti e il Castello di Collepardo”, pp.529 – TERRA NOSTRA Ediz., Roma

[4] Pesavento A,
 2005 – ” La presenza del cervo e dell’orso in provincia di Crotone” (pubblicato su Crotoneinforma nr. 1/2005)