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Orso marsicano, sarà possibile salvarlo ?

15 Maggio 2014 | Non categorizzato

(di Elisabetta Corrà, da La Stampa del 13/05/2014)

Gli ultimi cinquanta esemplari di orso marsicano (Ursus Arctos marsicanus) vivono nei boschi di faggi e querce dell’Appennino Centrale, tra Abruzzo e Molise. Dichiarati popolazione di interesse europeo dalla EU, sono i protagonisti di una storia complicata. Una storia fatta di omissioni e di interminabili passaggi burocratici, ma soprattutto del dilemma fondamentale della conservazione: tradurre la complessità ecologica in strumenti di azione amministrativi. Il finale è però ancora tutto da scrivere, perché da qualche mese il dossier è tornato in auge al Ministero dell’Ambiente, con una intenzione chiara: mettere l’orso marsicano al centro della gestione di quei territori.

Le stime numeriche, intanto. Sono imprecise e poco o nulla di certo si sa sui tassi di sopravvivenza e di mortalità, avverte Paolo Ciucci, biologo della Sapienza di Roma e tra i massimi studiosi di questa popolazione di orso. Se il marsicano si estingue, se ne va un intero capitolo della storia italiana: “Fa parte della cultura dell’Appennino centrale e la sua scomparsa avrebbe un impatto sociale e culturale enorme. L’orso vive qui da sempre e da almeno cinquecento se non seicento anni si è isolato dalla popolazione alpina, e ha sviluppato sue caratteristiche morfologiche e comportamentali. Non è mai stato aggressivo, e anzi, ha sempre mostrato una sua capacità di coesistenza con gli uomini, di cui ha animato le tradizioni”. Eppure sembra essere mancata finora – dal 2007, quando è stato sottoscritto il Patom (Patto per la Tutela dell’Orso Bruno Marsicano) un piano di azione che riunisce attorno ad unico obiettivo Ministero dell’Ambiente, Corpo Forestale dello Stato, Università La Sapienza di Roma, Istituto Nazionale di Fauna Selvatica (oggi ISPRA), Parchi, riserve naturali ed Enti locali coinvolti coordinati dalla Regione Abruzzo – la volontà di proteggere l’orso dell’Appennino, come preferiscono chiamarlo attivisti e biologi, nonostante l’accordo tra i soggetti interessati già approvato nel Patom, pronto per andare incontro allo scenario biologico, che è molto confortante.

“In questa popolazione endemica, geneticamente diversa da quella dell’Adamello Brenta in Trentino, non abbiamo ancora rilevato la depressione da incrocio, o inbreeding, che impoverisce l’assetto genetico di una specie in modo irreparabile. I nostri cinquanta orsi costituiscono una grande speranza biologica, ma quello di cui hanno bisogno è un decisivo cambio di passo nell’apparato burocratico, amministrativo e finanche politico che circonda la sottospecie e il Parco Nazionale”. Diversi biologi sono molto critici nei confronti di alcune delle proposte che di recente hanno riacceso il dibattito sull’orso degli Appennini, come il “captive breeding”, o allevamento in cattività, o la de-extinction, cioè la clonazione di nuovi esemplari con tecniche avanzate di ingegneria genetica. Oltre alla difficoltà di individuare i fondatori di una “famiglia” di orsi nati in cattività – una popolazione isolata come questa non ha lontani parenti che funzionino come serbatoio genetico – nell’orso il periodo delle cure parentali può durare oltre due anni. Da quando il piccolo esce dalla tana la madre gli insegna a trovare il cibo e a non mettersi nei guai con gli umani; nessun piccolo orfano può essere rimesso in libertà perché non sarebbe mai in grado di nutrirsi da solo.

Lo scenario è molto più vasto di un dibattito accademico su esperimenti comunque discutibili. Tocca punti nevralgici della gestione dei territori protetti e selvatici in Italia, perché i fattori in gioco sono molteplici e spesso in conflitto tra loro. La posizione dei pascoli, la viabilità, le reti stradali, l’attività venatoria, la zootecnia, sono tutti elementi che richiedono una raffinata direzione orchestrale, il cui leit-motiv sono poi gli spostamenti imprevedibili dell’orso, che erra lungo corridoi ecologici su tre Regioni. Secondo Ciucci, il Parco d’Abruzzo è “sotto assedio”. Nel 2013, tra la fine di maggio e metà giugno, l’Unità Cinofila Antidoto del Gran Sasso, che presta supporto ai Parchi nazionali di tutta Italia, ha individuato 28 bocconi avvelenati in un raggio di 30 chilometri: polpette di carne macinata e Aldicarp, un fitofarmaco fuori legge altamente tossico. “Nel 2007, quando vennero uccisi l’orso chiamato Bernardo, una femmina adulta e un maschio di due anni, furono usate come esche pecore e capre a cui erano state iniettate dosi impressionanti di psicofarmaci. Anche la zootecnia va regolamentata, perché gli animali da allevamento possono essere veicolo di malattie pericolose per i pochi orsi rimasti”.

Ma le cose stanno cambiando. Da novembre dell’anno scorso, per iniziativa diretta del Ministro dell’Ambiente Orlando, s’è avviato il processo per arrivare ad un Protocollo d’Intesa con Abruzzo, Lazio e Molise, il che significa assunzione di iniziative concrete attorno all’obiettivo primario riconosciuto, cioè la salvaguardia dell’orso marsicano, che diventerà nei prossimi mesi una questione condivisa, non più locale, una grande novità sotto il profilo politico che segna una forte discontinuità rispetto al recente passato. Il Patom sarà dunque realtà sul campo, come da tempo auspicano biologi ed esperti.

La qualità della strategia di conservazione riguarda però anche il futuro di questi territori. “Salviamo l’orso” una associazione ambientalista molto attiva in Abruzzo, ha sollevato l’attenzione sull’espansione delle energie rinnovabili nella Regione, e in particolare dell’eolico. Stefano Orlandini, tra i fondatori e attuale Presidente dell’Associazione, ha le idee molto chiare in proposito: “Gli impianti eolici e fotovoltaici previsti in questa zona erodono lo spazio dell’orso, perché potrebbero interferire con i corridoi ecologici di cui l’orso ha in questa fase assoluto bisogno per muoversi tra le aree protette, creare nuovi nuclei vitali ed espandersi numericamente. A costituire una minaccia non è tanto la pala, ma quello che un impianto porta con sé. Quel posto prima selvaggio diventa accessibile, si aprono strade e arrivano mezzi motorizzati. L’impianto eolico di Collarmele è cresciuto come una metastasi, a cavallo tra Parco nazionale d’Abruzzo e il parco del Sirente-Velino. Lo scorso dicembre è stato bloccato un altro progetto a Ortona dei Marsi. Nel 2013 è stato ridimensionato a 4 pale l’impianto progettato a Monte Rimagi e Petto della Corte, che ne prevedeva 22; stavolta il Consiglio di Stato ha appoggiato la Regione Abruzzo, riconoscendo che quel progetto avrebbe compromesso l’habitat dell’orso marsicano. Per la prima volta in sede giuridica si è ammesso che non possiamo sempre e comunque anteporre la legittimità della green economy alle esigenze di tutela di una popolazione animale in via di estinzione”.

Eppure, l’ambientalismo ha forse trovato nella causa dell’orso marsicano una opportunità, e cioè una prospettiva critica sulle urgenze della conservazione e quelle economiche, egualmente pressanti, come la transizione verso le rinnovabili. Il marsicano, secondo il team di biologi della Sapienza, non è un malato terminale. E l’indicatore temporale – il limite massimo oltre il quale la popolazione è perduta – non è lo spauracchio dell’estinzione, quanto piuttosto la volontà politica di recepire fino in fondo le interrogazioni europee sulle azioni concrete per la salvaguardia di questo animale, sciogliendo la macchina burocratica dalle sue lentezze. “L’orso marsicano finora è stato al Ministero dell’Ambiente come Pompei ai Beni Culturali”, dice Ciucci, che invoca il compromesso come atteggiamento irrinunciabile per una conservazione sostenibile, anche quando si parla di rinnovabili e di corridoi ecologici.

L’attivismo civile, ma in generale una presa di coscienza collettiva sul valore intrinseco dell’orso degli Appennini – insistono dall’Università di Roma – è supporto indispensabile a qualunque strategia di conservazione, senza il quale neppure il rinnovato impegno del Ministero si rivelerà risolutivo sui tempi lunghi. “È importante che chi osserva ogni giorno la realtà del Parco ne sia una sentinella. Il Patom è uno strumento utile anche per la società civile, perché per mandato istituzionale il Tavolo tecnico dialoga con l’Autorità di Gestione e con il pubblico. Le persone comuni hanno quindi a disposizione un canale amministrativo fondamentale per segnalare reati, omissioni e mancanze. Io dico, l’orso è nelle mani dei cittadini italiani”, insiste Ciucci che del Tavolo Tecnico è membro.