2013, la Svizzera come la Germania: ucciso l’orso M13
Da alcuni mesi le preoccupazioni degli amanti della natura e dell’orso erano rivolte alle sorti del giovane orso bruno, identificato con la sigla M13, che aveva lasciato il Parco Naturale Adamello Brenta in Trentino per “sconfinare” in Valposchiavo, nel cantone dei Grigioni in Svizzera, sollevando da subito le apprensioni della popolazione residente e delle autorità locali. Infatti, se da una parte è visto come il valore aggiunto nella promozione turistico-naturalistica delle Alpi, dall’altra l’orso bruno è considerato una minaccia alle attività tradizionali delle valli alpine, nonché un potenziale pericolo per l’uomo. La colpa dell’orso è, ovviamente, quella di essere tale, ovvero di uscire dagli schemi precostituiti dell’uomo. La convivenza tra essere umano e animali selvatici, tanto più quanto “complessi” come l’orso, è una sfida di civiltà mai compiuta. Così, mentre gli “amici” dell’orso M13 hanno cercato in tutti i modi di evitarne l’abbattimento, stamane (20.02.2013) le autorità hanno attuato la “soluzione finale”, la più economica, ovvero l’abbattimento dell’orso M13, neanche questo fosse un prodotto difettoso, un numero di matrice sbagliato o un pericoloso evaso, ma semplicemente un giovane orso che si affacciava in un mondo in cui non era benvenuto.
Certo non si può restare indifferenti ai problemi legati alla convivenza tra uomo e grandi carnivori come il lupo e l’orso. Però sorprende notare come l’essere umano riesca sempre a trovare una giustificazione alle proprie volontà di sopraffazione sulla natura: “l’orso era pericoloso”, “l’orso era una minaccia per i nostri figli”. Da ciò deriva una riflessione: si dipingono l’orso e il lupo come sanguinari assassini di pecore e galline, talvolta esibendo i resti delle loro predazioni come a invocare la punizione legittima per i loro crimini, dimentichi del fatto che salvare le pecore e le galline da questi animali è soltanto un rinviare loro la condanna, togliendole dal piatto del lupo e dell’orso per metterle nel nostro. Insomma, comunque vada a finire, la vittima non si salva da una morte atroce che, forse, troverebbe maggiore giustificazione proprio in un ambiente naturale aspro e selettivo come quello di montagna che non nella nostra società dei consumi dove la vita degli animali è determinata dal prezzo di mercato.
Qui non si vuol screditare l’eroico mestiere del pastore, ma solo riflettere su come l’uomo, nell’anno del Signore 2013, pretenda ancora di essere l’unico regolatore del creato, il predatore ai vertici della catena alimentare, non meno colpevole del lupo e dell’orso agli occhi della pecora.
Considerare l’orso una minaccia diretta all’uomo è esagerato e allarmistico. Se si analizzano le statistiche, fresche di oggi, è vero il contrario. L’orso bruno è un animale schivo che se si avvicina alle case è solo perché attratto da fonti alimentari. L’animale fugge al cospetto dell’uomo. Casi isolati di attacco sono avvenuti sempre per difesa da parte di animali braccati o di femmine la cui prole era minacciata.
Il rammarico è che si sarebbe potuta cercare una soluzione di compromesso nei moderni dispositivi di protezione degli stazzi e degli apiari, ovvero recinti elettrificati ceduti in comodato d’uso dai vari progetti LIFE come deterrente ai predatori, o negli indennizzi da elargire agli allevatori danneggiati, in efficaci e incruente forme di dissuasione della fauna selvatica “confidente” o in collaborazioni internazionali. Si sarebbero potute snocciolare cifre per le quali il turismo è e resta la prima fonte di reddito per l’Italia e per molti paesi alpini – grazie al loro fascino naturalistico oltre che alle piste da sci – mentre l’agricoltura e la pastorizia sono in profonda crisi e non certo per colpa dei grandi predatori, ma alla fine è prevalsa la logica del “massimo risultato con il minimo sforzo”, ovvero un colpo di fucile. Questa logica, se in un primo momento è potuta sembrare la più vantaggiosa in termini costi-benefici, ha ignorato gli svantaggi di lungo termine, ovvero l’immensa perdita in biodiversità che ha comportato l’eliminazione dell’orso, di un solo individuo come dell’intera popolazione, oltre che la ricaduta negativa dell’immagine di luoghi che spesso si fregiano dell’orso nei loro simboli araldici, ma che hanno decretato per legge che dell’orso possono fare a meno, a meno che l’orso non si trasformi in cane, possibilmente di piccola taglia e innocuo. Infatti, i danni procurati dai cani randagi alla zootecnica vengono generalmente addebitati all’orso e al lupo, animali più carismatici, perché altrimenti sarebbe implicita un’ammissione di responsabilità dell’uomo nell’abbandono del suo “miglior amico”.
Questo articolo si pronuncia contro ogni logica di affermazione dell’uomo sulla natura, perché una soluzione che salvi gli interessi legittimi delle popolazioni e degli animali selvatici è possibile e reale, e vuole esprimere un profondo biasimo per le scelte incivili di paesi come la Svizzera e la Germania – che nel 2006 “sacrificò” l’orso JJ1, altra sigla dietro la quale c’era un orso trentino – terre di orsi finché questi restano sullo stemma araldico delle loro capitali.
Grazie all’autore della pagina facebook http://www.facebook.com/OrsoM13 per aver provato in tutti i modi a salvare l’orso!