Sabato scorso l’intervento congiunto di Carabinieri Forestali e servizio veterinario del PNALM traeva in salvo una lupa caduta in un’antica neviera profonda oltre 5 metri nei pressi di Roccaraso, dove un ragazzo del posto l’aveva trovata e segnalata alle autorità. L’accaduto conferma quanto pozzi e cisterne per la raccolta dell’acqua possano trasformarsi in trappole mortali per la fauna se sprovvisti di grate o di rampe di risalita. Nel timore che avesse riportato delle lesioni interne in conseguenza della caduta, l’animale è stato trasferito in un ampio recinto a Pescasseroli da cui ieri è riuscito a fuggire, stando al comunicato del Parco, dopo aver “tranciato i fili da 6 mm del recinto elettrificato e reciso la rete, riconquistando la libertà”.
Se condividiamo la gioia del Parco nel constatare che la lupa era in buono stato di salute al punto da riuscire a evadere con tanta determinazione, ci chiediamo se il recinto elettrificato fosse attivo e funzionasse correttamente, dal momento che dovrebbe trasmettere scariche, innocue ma sufficientemente potenti da dissuadere qualunque animale dall’attraversarlo, figurarsi a tranciarlo a morsi con la saliva e i tessuti molli della bocca a facilitare la conduzione elettrica. Poiché c’è gente che continua a credere alla storia dei lupi lanciati con il paracadute, vorremmo evitare che qualcuno credesse che i recinti elettrificati non funzionano, vanificando uno degli strumenti oggettivamente più efficienti per la prevenzione dei danni e la mitigazione dei conflitti con la fauna selvatica. La nostra esperienza, come quella di allevatori e giardini zoologici di tutto il mondo, direbbe che i recinti, se ben gestiti, funzionano eccome.