Perché proteggere l’orso? Tante potrebbero essere le risposte: per la sua unicità, per il suo valore estetico, perché è una risorsa economica per le popolazioni locali, perché lo dice la legge, per una questione di civiltà, per una sfida, ma soprattutto perché è una specie a rischio di estinzione.

Premessa sulla conservazione

La conservazione dell’orso marsicano è un obbligo morale al quale non possiamo e non dobbiamo sottrarci così come non dobbiamo sottrarci all’obbligo di conservare la biodiversità. Quali sono le motivazioni alla radice di tale obbligo? Sono motivazioni di tipo ecocentrico (valore intrinseco delle specie) e di tipo antropocentriche (valore d’utilità per l’uomo), ma le prime devono avere un peso schiacciante sulle seconde.

Motivazioni ecocentriche

  1. L’orso marsicano, come tutte le specie viventi, ha il diritto di evolversi secondo i naturali tempi dell’evoluzione.

    Da quando esiste la vita sulla terra, tutte le specie si evolvono e la stragrande maggioranza di esse a un certo punto si è estinta; l’estinzione è un processo naturale ed è parte integrante dell’evoluzione. Nel momento in cui l’estinzione viene accelerata da noi esseri umani (si stima che il tasso di estinzione attuale sia 100-1000 volte superiore a quello delle passate ere geologiche), ci si trova di fronte a una forzatura di un processo che è la base fondante della vita nella sua essenza più forte e profonda. Il diritto all’evoluzione è dunque universale e non appartiene solo a Homo sapiens.

  2. Le perturbazioni indotte dall’uomo stanno pesantemente violando la scala spaziale e temporale dei disturbi naturali.

    La vita sulla terra è stata segnata da grandi eventi di disturbo (eruzioni vulcaniche, impatto di meteoriti, oscillazioni climatiche) che hanno segnato il cammino evolutivo dei viventi. Questi eventi sono avvenuti a distanza di migliaia o più spesso milioni di anni l’uno dall’altro e in modo casuale. Le perturbazioni indotte dall’uomo sugli ecosistemi e sui processi ecosistemici sono molto più frequenti di quelle naturali e avvengono con estrema regolarità o addirittura con continuità nonché su vastissima scala (pensiamo alla deforestazione del bacino del Rio delle Amazzoni o del Congo, pensiamo al processo di urbanizzazione, al processo di regimazione dei corsi d’acqua in immensi bacini idrografici). Questa violazione della scala temporale e della scala spaziale delle perturbazioni distrugge gli ecosistemi e con essi i viventi e, come tale, è eticamente scorretta per la ragione del punto 1.

  3. Resilienza (cioè la capacità di autoripararsi dopo un danno) degli ecosistemi a maggior ricchezza di specie.

    Sebbene sia un argomento ancora molto dibattuto, molti studiosi ritengono sulla base di dati sperimentali che gli ecosistemi a maggior ricchezza di specie siano in grado di mantenere la loro efficienza a livello di processi più di quanto non lo siano gli ecosistemi poveri di specie. Eliminare forzatamente delle specie da un ecosistema implica quindi renderlo più vulnerabile e aumentarne la probabilità di collasso o di trasformazione irreversibile. Si va così a interferire con le fluttuazioni naturali dei sistemi complessi e le conseguenze di tali interferenze sono pressoché totalmente sconosciute a noi.

Motivazioni antropocentriche

  1. Valore spirituale della biodiversità.

    Incontrare un orso in una faggeta o seguire con lo sguardo il volo di un’aquila sono fenomeni che suscitano nell’uomo una emozione e ne arricchiscono lo spirito. Moltissimi viventi, con i loro ecosistemi, sono alla base di diversi aspetti cruciali delle religioni e dell’arte e hanno da sempre accompagnato l’uomo fin dalla sua preistoria. La conservazione della biodiversità arreca dunque benefici spirituali all’uomo.

  2. Valore economico legato a risorse e servizi

    Gli ecosistemi possiedono un enorme – spesso sottostimato dal grande pubblico – valore economico legato alle materie prime e, in generale, alle risorse che forniscono: nel momento in cui queste risorse sono sovrasfruttate (legname, stock ittici, suolo) e non hanno più il tempo di autorigenerarsi, l’uomo si trova a fronteggiare enormi crisi produttive che generano fortissimi scontri sociali e problemi economici. Una delle più importanti risorse naturali è data, per esempio, dall’uso farmacologico delle piante e di molti altri organismi: proprio dagli esseri viventi sono stati scoperti i principi attivi che hanno portato alla produzione di vaccini e farmaci oggi indispensabili alla salute umana; preservare la biodiversità implica preservare altre specie attualmente a noi ignote ma che potrebbero essere utili in futuro per nuovi principi attivi. I processi ecosistemici sono alla base della nostra vita quotidiana e della nostra salute: interrompere tali processi implica un forte danno all’economia e alla vita sociale dell’uomo.

  3. Valore ricreativo.

    Il valore ricreativo deriva dal valore spirituale della biodiversità sopra citato (il piacere di vedere un animale o un paesaggio, il piacere di camminare nel silenzio di un bosco, il piacere di cacciare una volpe e simili) e dal fatto che alcuni soggetti sfruttano economicamente tale valore; difatti il cacciatore è disposto a pagare per avere la licenza di caccia, un amante dei cetacei è disposto a pagare per andare a fare osservazione diretta delle megattere, …).

Misure di conservazione per l’orso bruno marsicano

Le principali misure di conservazione sono indicate nel Piano d’azione per la tutela dell’orso marsicano (PATOM), una dichiarazione di intenti e impegni tra Ministero dell’Ambiente, Regioni ed Enti.

Il Piano d’azione per sua natura non può produrre atti aventi forza di legge. Per far si che le misure previste dal Piano siano attuate, queste devono essere rese vigenti da un passaggio politico a livello regionale, provinciale, comunale o delle aree protette con l’emissione di leggi, regolamenti, deliberazioni, ordinanze e altri atti aventi forza normativa.

Sono quindi di strumenti strettamente legati alla volontà politica degli amministratori locali e regionali anche se i dettagli di ciascuna misura devono essere definiti da specialisti di biologia ed ecologia dell’orso e scienze veterinarie, polizia ambientale, pianificazione delle aree naturali protette.

Come dice la stessa presentazione del PATOM, “l’efficacia dei piani d’azione  si è spesso rivelata limitata, in particolare a causa della mancata implementazione delle azioni previste da  questi strumenti. Il rischio che le indicazioni dei piani d’azione rimangano in una più o meno ampia  misura inapplicate risulta particolarmente rilevante nel nostro Paese, il cui quadro legislativo non assegna  un esplicito valore giuridico ai piani d’azione. […] La limitata implementazione dei piani d’azione finora prodotti in Italia è anche dovuta al quadro  amministrativo del nostro Paese, caratterizzato da una estrema frammentazione dei ruoli e delle  responsabilità in materia di gestione della fauna selvatica“.

Anche il progetto LIFE ARCTOS, di durata quadriennale, prevede l’attuazione di alcune misure di conservazione, che però finiranno con l’esaurirsi dei fondi europei stanziati nel 2010.

Pertanto dal 2014 i fondi stanziati per la conservazione dell’orso bruno marsicano a livello comunitario e nazionale ammonteranno, secondo quanto ci ha riferito il Ministero dell’Ambiente, a 0 (zero) euro.

Misure

  • Limitare il disturbo antropico in aree cruciali, per esempio nelle aree di alimentazione tardo-estiva e autunnale, e nelle aree che, alla luce delle attuali conoscenze, sono d’importanza fondamentale per il letargo invernale grazie alla presenza di numerose tane idonee; questa misura si attua mediante:

    • regolamentazione dell’accesso dei turisti e degli escursionisti alle aree cruciali, almeno nei periodi di iperfagia e svernamento;

    • nelle stesse aree, divieto di transito a moto, quod e fuoristrada; prevedere zone alternative per la raccolta della legna secca da parte dei residenti per preservare il diritto di uso civico di legnatico.

  • Sostituire la caccia al cinghiale in braccata con altre modalità di caccia al cinghiale meno dannose per l’orso, per esempio la girata; questa misura dev’essere attuata in tutto l’areale dell’orso marsicano, dai Sibillini al Matese, non solo nella ZPE del PNALM.

  • Per risolvere il problema degli orsi “confidenti” che tendono ad avvicinarsi ai centri abitati, impedire con adeguate strutture di protezione e prevenzione l’accesso a orti, pollai, cassonetti della spazzatura, discariche abusive e altri potenziali punti d’attrazione per gli orsi; addestrare almeno tre squadre di operatori (tecnici di aree protette, agenti del CFS, guardiaparco) in grado di intervenire in tempo reale nella dissuasione e nell’allontanamento dai paesi degli orsi confidenti.

  • Per ridurre i danni da orso agli allevamenti e agli apiari, anche se di entità molto limitata, e il forte conflitto sociale che essi provocano, prevedere le seguenti misure:

    • obbligo per apicoltori e allevatori di usare adeguate strutture di guardiania e/o di protezione degli apiari o del bestiame sia di giorno sia di notte;

    • concessione in comodato d’uso gratuito di recinzioni elettrificate e, nei casi più critici, anche recinzioni fisse; tale misura dev’essere attuata in primis dagli enti parco ma anche i comuni fuori parco, sotto il dovuto controllo da parte di un’unica autorità di gestione (per esempio Regioni, CFS), dovrebbero realizzarla, per esempio con i fondi PSR (Piano di Sviluppo Rurale);

    • migliorare il meccanismo degli indennizzi per danni causati dai predatori prevedendo che i controlli sulle carcasse siano fatti sempre da un veterinario e garantendo che, in caso di predazione certa, l’indennizzo sia emesso dall’autorità preposta (ente parco, provincia) entro 60 giorni.

  • L’allevamento del bestiame nelle aree protette appenniniche è totalmente fuori controllo e fuori legge: pascolo brado che si protrae in quota tutto l’anno (anche nei ramneti!), mancato rispetto delle norme sanitarie, assenza di misure di guardiania, prevenzione e protezione previste dalla normativa vigente, mancato smaltimento di carcasse, totale assenza di pianificazione e calendarizzazione del pascolo in base alla reale capacità portante delle praterie, assenza di registri di stalla e altro; i controlli amministrativi e giudiziari sono difficili da attuare perché spesso mancano gli appositi strumenti (per esempio i lettori di microchip, l’accesso on line ai registri delle anagrafi del bestiame, la disponibilità di banche dati con l’elenco delle imprese zootecniche) o per conflitto d’interessi tra controllato e controllore e clientelismo. Pecore al pascolo sui Monti Simbruini - ph. D.Valfrè

  • Per ridurre l’interazione tra il bestiame e gli orsi è necessario riformare completamente il comparto zootecnico mediante piani e regolamenti stabiliti in forma coordinata da enti parco, comuni in esso presenti e ASL; in particolare è necessario vietare il pascolo brado, pianificare la turnazione e la rotazione dei pascoli in base alla loro reale capacità di carico calcolata con metodi scientifici, controllare in modo rigoroso e ferreo lo stato sanitario del bestiame e la regolarità degli allevamenti (a tal fine il personale delle ASL, i guardiaparco e il CFS devono essere messi in condizione di lavorare con gli appositi strumenti) e inasprire fortemente le sanzioni, obbligare le aziende zootecniche ad adottare apposite misure di guardiania, prevenzione e protezione, eventualmente sovvenzionate da parchi e comuni.

  • Mettere sotto controllo a livello sovracomunale il randagismo canino attraverso sterilizzazione o catture. Attivazione di fondi a Comuni e ASL in tal senso.

  • Legiferare a livello regionale affinché la pianificazione territoriale nelle zone di collegamento tra aree protette tenga conto della potenziale presenza dell’orso. In particolare è necessario:

    • limitare lo sviluppo delle infrastrutture, come nuove strade e lottizzazioni;

    • incentivare con fondi regionali, per esempio il PSR, le cooperative e le microimprese che promuovono il turismo a basso impatto ambientale, per esempio l’apertura di B&B nei centri storici, la trasformazione delle piccole imprese zootecniche già esistenti in fattorie didattiche, la promozione del cicloturismo e dell’escursionismo.

  • In tutto l’areale dell’orso, vietare l’apertura di nuove cave e nuove discariche in zone cruciali per l’orso. Vietare altresì la realizzazione, di impianti da sci, di centrali eoliche, centrali a biomasse superiori a una certa estensione, centrali idroelettriche e impianti per l’energia solare superiori a una certa estensione. L’estensione massima ammissibile deve essere stabilita da un’apposita commissione tecnico-scientifica.

  • Legiferare a livello regionale per vietare l’uso di alcuni veleni agricoli in tutto l’areale dell’orso; imporre sanzioni e pene più severe per la detenzione illegale; effettuare controlli a tappeto su rivenditori e aziende agricole e zootecniche e pubblicizzare tali controlli.

  • Effettuare un monitoraggio permanente, su base scientifica, di:

    • stato sanitario degli orsi,

    • demografia (dimensione della popolazione, natalità, mortalità, struttura in classi d’età e simili),

    • presenza di esemplari al di fuori dell’area centrale,

    • variabilità genetica mediante tecniche di genetica non invasiva,

  • Definire strategie di comunicazione e informazione nettamente più efficaci di quelle passate, dimostratesi totalmente fallimentari; sulla base di tali strategie, attuare un programma serio e rigoroso di informazione continua in tutto l’areale dell’orso, sia dentro sia fuori le aree protette, diretto sia al pubblico generale sia ai gruppi d’interesse (cacciatori, allevatori, apicoltori). Valutare periodicamente l’efficacia delle strategie di comunicazione e la percezione dell’orso da parte del pubblico.