di Stefano Civitarese[*]

Una delle questioni al centro del convegno di Pescara ‘Orso senza confini’ del 14 dicembre (v. Editoriale) era il ruolo del Piano d’azione nazionale per la tutela dell’orso bruno marsicano (PATOM), strumento nato per apprestare politiche di tutela di questa specie oltre gli storici confini del PNALM e fare fronte alla mancanza di una legge sulla fauna che superasse l’attuale dimensione regionale della gestione della fauna in un’ottica venatoria ai sensi della l. n. 157/92.

Nel panorama internazionale, dal punto di vista conservazionistico, un piano di azione è un insieme di misure per assicurare la tutela e il ripristino della biodiversità. Nel fascicolo dei Quaderni di Conservazione della Natura dedicato al PATOM[1], si legge che un piano d’azione è l’approccio più corretto per conservare la biodiversità e la gestione integrata delle specie e dei loro habitat. Non sempre è infatti possibile tutelare l’integrità degli ecosistemi naturali, che è ciò su cui si punta in genere istituendo zone di riserva integrale nei parchi nazionali.

Adottare, allora, un approccio cosiddetto specie-specifico rappresenta in molte circostanze la soluzione più idonea per perseguire obiettivi più ampi di tutela degli ambienti naturali. Concentrare gli sforzi di conservazione su alcune specie a rischio di estinzione innesca un effetto a cascata su altre specie e sull’ambiente in cui vivono e, quindi, sulla biodiversità. Questo è l’approccio raccomandato dal Consiglio d’Europa per conservare le specie a più elevato rischio di estinzione. Uno specifico piano di azione per l’orso marsicano è stato previsto nell’ambito del piano di azione sull’orso in Europa in attuazione della convenzione di Berna[2]. Le campagne di conservazione di alcune specie dotate di particolare carisma – c.d. specie bandiera – possono, inoltre, esercitare un impatto tale sull’opinione pubblica da facilitare l’avvio di azioni di sensibilizzazione per la tutela di interi ecosistemi.

Ph: Stefano Civitarese

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Collocandosi nel contesto di un determinato ordinamento giuridico, tuttavia, sotto l’etichetta “piani di azione” si celano una molteplicità di strumenti differenti. In Italia non esiste una specifica fattispecie giuridica a essi riconducibile, a differenza di quanto accade per esempio negli Stati Uniti, ove, grazie all’Endangered Species Act, l’inserimento di una specie nei programmi di conservazione fa scattare automaticamente determinate misure di tutela.

In altre parole, nel nostro paese il problema centrale di questi “piani” è la loro natura giuridica e più concretamente la loro attuazione. Nelle prime righe del suddetto Quaderno PATOM si menziona il rischio di inattuazione per due ordini di motivi: l’assenza di un esplicito valore giuridico dei piani d’azione e la frammentazione del quadro amministrativo in materia di gestione della fauna selvatica, che rende necessaria una laboriosa opera di concertazione tra enti locali, aree protette e settori diversi della pubblica amministrazione. Nel caso di animali che si muovono su ampi territori, come l’orso, quest’ultimo aspetto è ancora più marcato. Tutte le istituzioni territoriali sono coinvolte e le competenze interessate sono numerose a causa dell’interferenza della “vita” degli orsi con le attività umane: agricoltura, turismo, infrastrutture, viabilità, zootecnia, caccia ecc. È appena il caso di notare come il coordinamento tra le diverse amministrazioni sia vieppiù importante al di fuori dei confini dei parchi nazionali, anche perché uno degli obiettivi di fondo del piano di azione dovrebbe essere quello di creare corridoi faunistici ed evitare l’ulteriore frammentazione degli habitat naturali tali da consentire l’espansione dell’areale della popolazione lungo tutto l’Appennino Centrale. Su questo punto un caveat è opportuno. Non si pensi che il modello degli enti parco, con i poteri a essi attribuiti dalla nostra legislazione, renda i territori in essi compresi immuni dai problemi di conservazione che il PATOM è chiamato ad affrontare. La tecnica della zonazione – tra l’altro in larga misura ancora sulla carta a causa della lunghissima gestazione dei piani dei parchi – pur corretta in linea di principio, fa sì che solo nelle zone di riserva integrale vi sia assoluta priorità della tutela della biodiversità sulle attività umane.

Ph: Stefano Civitarese

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L’istituzione di riserve integrali costituisce, però, una misura piuttosto limitata ai fini della conservazione delle specie che più si spostano ed è auspicabile che si spostino sempre di più. Pur essendo le zone di riserva integrale aree chiave sia per la ricostituzione di ambienti il più possibile vicini a quelli originari sia per alcuni aspetti della biologia degli animali (si pensi alle aree di svernamento per gli orsi[3]), il più delle volte le misure di tutela più urgenti e necessarie riguardano le aree che anche nei parchi sono maggiormente antropizzate. Sebbene non tutte queste siano a oggi incluse in riserve integrali (Paolo Ciucci, com. pers.). Si pensi soltanto, per stare alla stretta attualità (ennesima orsa investita il giorno della Vigilia di Natale), alla regolazione del traffico stradale o agli interventi infrastrutturali sulla viabilità. Su di essi gli enti parco non hanno alcun potere e misure relativamente semplici come quelle per la riduzione della velocità delle autovetture dipendono da enti che non considerano l’uso delle strade da parte degli animali selvatici tra le variabili di cui tenere conto nell’esercizio delle loro funzioni.

Un piano di azione per coordinare tutte le amministrazioni comunque coinvolte nella gestione dell’orso, compresi gli enti parco, è, dunque, non solo un’ottima cosa, ma è anche la sola soluzione a portata di mano per affrontare seriamente il problema. Ma cosa è, dunque, questo piano e come, invece, dovrebbe e potrebbe essere?

Nella percezione degli operatori coinvolti nel PATOM, sulla scia della suddetta idea secondo cui i piani di azione non avrebbero “valore giuridico”, si ritiene che esso costituisca uno strumento di semplice confronto collaborativo, un “tavolo” nel quale elaborare indirizzi tecnici che poi ciascuno degli enti partecipanti si impegna eventualmente a trasformare in provvedimenti concreti nell’esercizio dei propri compiti. Il che, si badi, è comunque non poco. E alcune buone prassi adottate in questi anni, per esempio nel monitoraggio, nei protocolli sulle catture, possono essere ascritte all’esistenza di un foro permanente di confronto favorito dal PATOM. Non poco, ma assolutamente insufficiente per il fine ultimo, che è quello di assicurare un futuro a lungo termine alla popolazione di orso marsicano.

Torniamo allora alla questione del valore giuridico del PATOM. La forma giuridica a esso conferita è quella di un accordo tra amministrazioni ai sensi dell’art. 15 della legge 241/1990 sul procedimento amministrativo. Prendendo l’accordo attualmente vigente, quello relativo al triennio 2019-21, vi è scritto che Il Ministero dell’Ambiente e della Tutela del Territorio e del Mare, le Regioni Abruzzo, Lazio e Molise, il Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise, il Parco Nazionale della Majella e il Comando Unità Forestali Ambientali e Agroalimentari Carabinieri “concordano e sottoscrivono” una serie di cose da fare ,“vista” tra l’altro, «la legge 7 agosto 1990, n. 241, che prevede la possibilità che anche più Amministrazioni possano, tra loro, concludere accordi. In particolare, l’art. 15 che stabilisce che, “Anche al di fuori delle ipotesi [di conferenza di servizi], le amministrazioni pubbliche possono sempre concludere tra loro accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune.” (comma 1); e che “Per detti accordi si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni previste dall’art. 11, commi 2 e 3” (comma 2)”».

Quest’ultimo riferimento è quello più significativo, perché esso comporta che a questi accordi per disciplinare lo svolgimento in collaborazione di attività di interesse comune si applicano i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili. Come ormai affermato in molte occasioni dai giudici amministrativi, siamo in presenza di contratti tra soggetti pubblici da cui nascono vere e proprie obbligazioni legali. Di conseguenza non è esatto dire che i piani di azione manchino necessariamente di “valore giuridico”. Se il piano è “versato” nella forma dell’accordo, esso ha il valore giuridico di un contratto e chi lo sottoscrive assume obblighi “giustiziabili” su iniziativa di ciascuna parte dell’accordo.

Il problema del PATOM è che pur avendogli dato la forma dell’accordo tra amministrazioni, lo si è confezionato in modo da annacquare il più possibile il suo carattere giuridico di vincolo contrattuale. Le obbligazioni – quelle che nel testo dell’accordo sono chiamate “azioni prioritarie e sinergiche tra le amministrazioni” – sono piuttosto vaghe e non individuano compiti e responsabilità a carico di ciascun soggetto coinvolto. L’assenza del sistema degli enti locali e di alcune amministrazioni di settore (per esempio ANAS) è una seria lacuna. L’istituzione di una cosiddetta Autorità di Gestione, di cui non sono delineati poteri e responsabilità (di fatto è un organismo informale di coordinamento di cui fanno parte tutte le parti firmatarie), con il compito di predisporre un piano annuale, che nei fatti è poco più che una ripetizione delle suddette azioni prioritarie, non compensa in alcun modo l’assenza di “mordente” dell’accordo a monte.

Chiunque abbia esperienza anche del più semplice dei contratti, sa che una volta fissato il suo oggetto – quello che ciascuno si impegna a dare, fare, non fare ecc. – viene il difficile: prezzo, sanzioni per l’inadempimento, meccanismi per risolvere le controversie, penali e altro. Se si ritiene che un piano d’azione debba fondarsi su uno strumento pattizio (cosa ragionevole, stante l’accentuato pluralismo amministrativo nel nostro paese), questo deve avere comunque tutte le caratteristiche perché il piano stesso abbia i piedi per camminare, o i denti per mordere se si passa la facile metafora.

Ph: Stefano Civitarese

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A legislazione invariata, esiste nell’ordinamento italiano una tipologia di accordo, detto di programma, tra amministrazioni (una species del genus accordi di cui all’art. 15 cit.) che delinea in modo più definito l’intelaiatura dell’accordo stesso. Secondo l’art. 34 del testo unico enti locali, per la definizione e l’attuazione di opere, di interventi o di programmi di intervento che richiedono, per la loro completa realizzazione, l’azione integrata e coordinata di comuni, di province e regioni, di amministrazioni statali e di altri soggetti pubblici, si può promuovere la conclusione di un accordo di programma per assicurare il coordinamento delle azioni e per determinarne i tempi, le modalità, il finanziamento e ogni altro connesso adempimento. Se, come per il PATOM, il programma comporta il concorso di due o più regioni finitime, la conclusione dell’accordo è promossa dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Del resto nel caso del PATOM, stante la sua natura anche di strumento di esecuzione di una convenzione internazionale (Berna), il soggetto promotore e responsabile del piano non può che essere il governo e per esso il Ministero dell’Ambiente. L’art. 34 prevede anche che vi sia un meccanismo di controllo sull’esecuzione dell’accordo con previsione di interventi sostitutivi affidato a un collegio di vigilanza presieduto da un organo governativo. In sostanza, l’autorità di gestione dovrebbe assumere la veste di collegio di vigilanza sulla corretta e tempestiva esecuzione delle obbligazioni assunte.

Non ci si nasconde che perseguire un accordo di questo tipo comporti un impegno politico-istituzionale e giuridico-amministrativo assai complesso. Si tratta di un percorso irto di difficoltà e di prevedibili resistenze da parte, per esempio, di regioni abituate a predicare bene e razzolare male. Anche perché un piano (accordo) così concepito non può non prevedere adeguate risorse finanziarie a carico dei vali livelli di governo, a partire naturalmente da quello centrale. Si tratta, allargando il punto di vista, di ricollocare il PATOM in un diverso ambiente istituzionale. Non più, vale a dire, un accordo tra amministrazioni “esperte” con l’assessore regionale di turno. Un accordo che abbia l’ambizione di portare a termine le “azioni” proprie di una campagna di conservazione deve essere avallato dagli organi di vertice delle amministrazioni, quelli che hanno il potere di dettarne gli indirizzi politico-amministrativi e di incidere sulla spesa: il consiglio dei ministri, i consigli regionali, i consigli direttivi.

Tutto questo presuppone, invero, una domanda di fondo allo stesso tempo di natura politica e giuridico-costituzionale: in una scala di valori/principi, dove mettiamo la tutela dell’orso marsicano? Siamo, come comunità che si rispecchia in determinati valori costituzionali (polity), realmente disposti a sostenere che la conservazione della specie bandiera orso marsicano è diretta conseguenza del diritto all’ambiente come principio costituzionale al vertice dell’ordinamento? Tale domanda va anzitutto posta alle istituzioni direttamente responsabili della cura del diritto all’ambiente, il Ministero dell’Ambiente in testa, nato nel 1986 proprio sulla scorta dell’erompere dell’ambiente come materia nuova e sovraordinata ai vari interessi e materie attribuiti alle autonomie regionali. Senza tale presa di coscienza, al di là dei tecnicismi, il PATOM rimarrà nella sfera delle buone intenzioni e in una dimensione settoriale e di nicchia.

A dirla tutta, questa presa di coscienza dovrebbe investire il Parlamento in quanto massima espressione della polity. Se infatti sono vere le seguenti premesse evincibili da quanto sin qui osservato: i) abbiamo obblighi internazionali per la conservazione dell’orso marsicano; ii) questa è strumentale a una più ampia politica di tutela della biodiversità; iii) quest’ultima è parte del perseguimento di un interesse al vertice dell’ordinamento costituzionale; iv) in aggiunta, lo sviluppo sostenibile (un Green New Deal) è l’obiettivo primario dei prossimi decenni per l’Unione Europea, allora vi sono le condizioni per considerare il PATOM nell’ambito degli interventi straordinari (stante il concreto pericolo di estinzione della specie) da prevedere in via legislativa. Il modello, sempre nel solco del genus accordo tra amministrazioni, potrebbe essere quello del Contratto istituzionale di sviluppo, previsto da un decreto legislativo del 2011 (n. 88) al fine di promuovere lo sviluppo economico e la coesione sociale e territoriale, di rimuovere gli squilibri economici, sociali, istituzionali e amministrativi del Paese e di favorire l’effettivo esercizio dei diritti della persona. Non sembri provocatorio affermare che un “piano per l’orso marsicano” deve essere inquadrato in questo contesto, vale a dire concepito come strumento di sviluppo e coesione sociale e di rimozione degli squilibri. Le misure di conservazione non possono essere che puntuali e rigorose, ma a esse devono corrispondere misure adeguate di promozione e compensazione. Il contratto istituzionale che mette nero su bianco il piano, secondo la legge, definisce il cronoprogramma, le responsabilità dei contraenti, i criteri di valutazione e di monitoraggio e le sanzioni per le eventuali inadempienze, prevedendo anche le condizioni di definanziamento delle azioni o l’attribuzione delle relative risorse ad altro livello di governo. Proporzionati all’interesse primario del contratto istituzionale sono i rimedi nei confronti dell’inerzia o inadempimento delle amministrazioni pubbliche responsabili delle azioni. Il Governo è infatti chiamato a esercitare il potere sostitutivo e può a tale fine giungere sino alla nomina di un commissario straordinario.

Ph: Stefano Civitarese

Ph: Stefano Civitarese

Lavorare nella direzione suggerita richiede un cambio di passo, una scelta netta a favore di un modello di società e di sviluppo che – al di là dei segnali che sembrano provenire dalle generazioni più giovani (invero meno in Italia che altrove) – stenta a trovare ascolto tra le classi dirigenti del nostro paese. Il ruolo dei movimenti e delle associazioni è anche quello di indurre l’opinione pubblica e di conseguenza la politica a determinare le condizioni per il cambiamento.

La conservazione dell’orso bruno marsicano è una partita complessa e affascinante, una sfida per una classe dirigente che voglia dirsi tale, in cui la posta in gioco non è solo quella di consentire alle generazioni future di poter continuare a sognare l’incontro indimenticabile con il signore dei boschi, ma di consegnare loro un mondo migliore.

Salviamo l’Orso, che si contraddistingue per la concretezza della sua azione sul campo nelle “Terre dell’Orso”, intende mettere a disposizione la sua expertise ed esperienza per approfondire gli elementi tecnico-giuridici e politico-istituzionali necessari a fare del PATOM uno strumento pienamente operativo e all’altezza della missione storica che gli è affidata. Per questo ha deciso di cofinanziare, con il Dipartimento di scienza giuridiche e sociali dell’Università di Chieti-Pescara, una borsa di studio a supporto di una ricerca, anche a carattere comparato, che delinei condizioni, limiti e procedure di un accordo PATOM che “morda”.

 

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* Professore ordinario di diritto amministrativo, dipartimento di scienze giuridiche e sociali, Università di Chieti-Pescara.
[1] AA.VV., Piano d’azione nazionale per la tutela dell’orso bruno marsicano – PATOM, Quaderni di Conservazione della Natura, 37, Ministero dell’Ambiente – ISPRA, 2011.
[2] R. Gerstl, B. Dahle, e A. Zedrosser, Action plan for the conservation of the brown bear in Europe, Nature and Environment, 2000, 114, Council of Europe, Strasbourg, France, 44.
[3] Sebbene non tutte queste siano a oggi incluse in riserve integrali (Paolo Ciucci, com. pers.).